La Storia
Nel II millennio a.C., l’affermarsi della cultura appenninica e i primi rapporti con il mondo miceneo impressero alla vita delle locali popolazioni un certo dinamismo; che tuttavia si accentuò nel corso del I millennio a.C., grazie all’avvento della civiltà italica (frentana nello specifico). Tracce significative della presenza degli antichi italici (secc. VI-III a.C.), si evidenziano in diverse, piccole necropoli o altre aree archeologiche intorno il paese: si tratta di tombe e siti dai ricchi corredi funerari con vasellame, cinture, oggetti domestici e di ornamento personale oppure armi, statuette bronzee e rare ma pregevoli testine votive in terracotta.
La conquista e la conseguente romanizzazione del territorio (III-II sec. a.C.) produssero in seguito un intenso processo di urbanizzazione, che interessò la bassa valle del Trigno soprattutto nei secoli I e II d.C. Un originale acquedotto ipogeo e murature di età romana (con interessanti resti di ambienti interni, dai pavimenti in opera spicata, in marmo o a mosaico) sono venute recentemente alla luce nel centro storico di San Salvo, attestando la presenza di un cospicuo luogo abitato, dal nome ancora sconosciuto (forse Cluvia?); un emporio alla foce del Trigno viene esplicitamente citato da Plinio; mentre resti di cospicue ville romane e tracciati di antiche strade affiorano in numerosi luoghi del territorio rurale.
La grave crisi, economica e demografica, dell’alto Medioevo fu lentamente superata grazie all’insediamento dì monasteri benedettini dipendenti da Farfa, Montecassino e San Vincenzo al Volturno. Tra quelli noti, attestati tra IX e X secolo, si ricordano Sant’Angelo in Salavento, S. Maria della Cardia e il monastero di Santo Salvo (eponimo del paese, corrispondente all’ex convento dell’attuale parrocchiale di San Giuseppe); tutti sorgenti su ruderi di antichi templi o ville romane.
L’evento più significativo del periodo successivo al Mille è però senza dubbio l’insediamento (nel 1257 circa) dell’Abbazia cistercense di San Vito del Trigno, nella omonima pianura fluviale. I monaci cistercensi, autori di un’intensa, entusiasmante fase di bonifica e messa a coltura dei terreni acquitrinosi e boschivi, divennero così i protagonisti di una sensibile ripresa economica (secc. XIII-XIV) i cui effetti si sarebbero sentiti anche nel borgo di San Salvo. L’abbazia, decaduta nel XV secolo, venne poi affidata a degli abati commendatari, che (con il titolo di abati dei Santi Vito e Salvo) ne governarono da lontano i beni fino alla seconda metà del Settecento.
Bene ha fatto, dunque, chi ha voluto definire San Salvo come la Terra dell’Abbazia; giacché la costante presenza sul territorio di monaci e possedimenti monastici per oltre un millennio ne ha modellato non solo lo schema urbano (con la chiesa al centro di una grande corte) e il paesaggio agrario (con terre lavorate da coloni o affittuari e poi prevalentemente da piccoli proprietari) ma la stessa cultura (ospitale, legata all’etica del lavoro, democratica nelle relazioni, persino tendenzialmente laica) degli abitanti.
L’Ottocento e il primo Novecento hanno visto una lenta benché costante ripresa economica (basata sull’agricoltura e l’artigianato) e demografica, che ha trovato il suo coronamento nella fase di intenso sviluppo del quarantennio 1960-2000. Dopo le ultime grandi lotte contadine per la terra (1950), due grandi insediamenti industriali (SIV-Pilkington e Magneti Marelli-Denso 1963/1973), in parallelo alla crescita dell’indotto industriale e artigianale, del commercio, del turismo e dei servizi hanno infatti prodotto un nuovo, intenso processo di urbanizzazione, che ha portato San Salvo a divenire, in termini proporzionali, la cittadina a più veloce accrescimento demografico dell’Abruzzo.
Riconoscimenti a tale ruolo sono venuti sia dalla visita del papa Giovanni Paolo II agli operai e alla popolazione locale (19 marzo 1983) sia dall’assegnazione (nel 1987), su segnalazione del CENSIS, del prestigioso titolo “Uno dei Cento Comuni della piccola grande Italia” per i progressi conseguiti nel campo del lavoro e dello sviluppo.
Il presente e il futuro di San Salvo sono dunque legati ad un ritrovato suo ruolo di luogo produttivo e insieme di crocevia stradale, commerciale e culturale. Non a caso la sua popolazione si caratterizza come gente da una parte radicata alla propria terra e alle tradizioni, sensibile alla libertà e all’autonomia, e dall’altra aperta a chi e a quanto proviene dalla regione abruzzese-molisana, dall’Italia, dall’Europa e dal mondo.
Le Tradizioni
Dei riti, delle feste e delle tradizioni popolari di un tempo non tutto è conosciuto o pervenuto fino ai giorni nostri.
L’esistenza del monastero di Sant’Angelo in Salavento rimanda innanzitutto ai riti, peraltro molto diffusi e popolari nell’Alto Medioevo, di San Michele Arcangelo (una figura che si era sovrapposta a quella diffusissima di Ercole) e di San Martino, attestati fino a qualche secolo addietro; così come ai culti – popolari certamente nel Basso Medioevo – per un San Salvo “confessore e pontefice”, la cui festa veniva celebrata il 10 settembre. Anche le celebrazioni di San Vito e Sant’Antonio (nel mese di giugno) sembrano risalire al periodo medievale; mentre più recenti sono i culti e le feste di San Rocco (protettore della peste, frequente nel Cinque-Seicento), di San Nicola (dapprima da Tolentino, forse venerato dai pastori transumanti marchigiani, adesso di Bari), di San Carlo Borromeo, di San Sebastiano e di San Vitale.
Delle reliquie di San Vitale, che oggi è patrono della città, conosciamo persino la data di arrivo: la notte del 20/21 dicembre 1745. Dono del cardinale Carafa, abate commendatario di San Vito del Trigno, le sacre spoglie di San Vitale, provenienti da Roma, furono accolte a San Salvo dalla popolazione festante e da un grande falò che illuminava a giorno la piazza.
Quest’ultima tradizione, nota come “Il fuoco di San Tommaso”, sarebbe poi in seguito rimasta, a dimostrazione che l’evento risale senza dubbio all’età antica. Secondo alcuni studiosi, la data del 20/21 dicembre era dedicata allora a divinità quali Angizia o Cerere, protettrici dei raccolti e referenti dei riti di passaggio (la notte del 20/21 è la più lunga dell’anno e segna simbolicamente la transizione dalle tenebre alla luce, dalla morte del chicco di grano alla nascita del nuovo germoglio), molto sentiti sia in ambito italico che romano.Alla festa di San Vitale sono legate altre interessanti tradizioni, quali le “sagne” al mulino e “i taralli” (in origine impastati senza lievito) in ricordo probabilmente del pranzo un tempo offerto ai poveri in occasione delle festività patronali ma anche come riaffermazione della sacralità del pane (il tarallo viene distribuito solo dopo essere stato benedetto); e d’altronde le spighe del grano – la “messe futura” della simbologia cristiana – costituivano lo stemma dell’Abbazia di San Vito (poi divenuto, con l’aggiunta della botte, stemma del Comune di San Salvo).
Tra gli altri riti più sentiti dalla popolazione sansalvese, ricordiamo quelli de “Lu Sand’Andonie” (protettore degli animali e nemico del demonio), de “Lu Sande Sebastiane” (patrono dei muratori), della “Settimana Santa” e infine del Carnevale (questi ultimi in parte mutati ma non certo scomparsi).
Il Centro Storico
Il centro storico della città ha il suo fulcro nella Piazza San Vitale che, fino al 1950, era chiusa da numerosi caratteristici edifici (delle famiglie Fabrizio, Cilli, Napolitano, Russo) e in particolar modo da quello della Porta della Terra, la porta d’ingresso al Borgo medievale abbattuta nel 1968 e diversamente ricostruita nel 1997. Nel nuovo edificio si trova oggi l’ingresso al Museo civico archeologico, originale in quanto interamente ipogeo, che conserva murature e reperti di età romana unitamente a reperti di età italica e medievale.
La Chiesa di San Giuseppe, che sorge al centro del vecchio borgo, è l’antica chiesa del monastero romanico di Santo Salvo (secc. X-XII), ristrutturata dai monaci cistercensi nel XIII sec. (di questa fase resta un tratto del muro di settentrione, con due monofore gotiche), restaurata nel ‘700 e quasi interamente ricostruita appena dopo la metà dell’800, in uno stile ormai pienamente neoclassico. Nel 1961-62, il sacro edificio ha subito anche la demolizione della facciata e del campanile originari, che sono stati ricostruiti in uno stile pseudo-romanico previo allungamento di una campata. Nell’interno, a navata unica e cappelle laterali, si trovano alcuni dipinti di valore artistico. Sul fondo (interno dell’abside) è collocata una tela della Sacra Famiglia, chiamata localmente “Quadro di San Giuseppe” ma meglio definibile come un “Riposo durante la fuga in Egitto”, di fattezze rinascimentali. Nella seconda cappella a sinistra è invece collocata una tela seicentesca, vagamente caravaggesca, raffigurante una Deposizione dalla Croce o Pietà. La cappella di destra del coro è dedicata al Patrono della città, San Vitale. Vi sono conservate le reliquie e le statue del Santo, il cui culto è esplicitamente ravennate. Nella cappella opposta si può invece osservare una interessante tela del 1857, raffigurante il “Sacro Cuore di Gesù e Maria”, firmata dal noto pittore di Guardiagrele Franco De Benedictis.
All’esterno della chiesa, oltre l’angolo di nord-ovest, si trova un’isola archeologica che comprende un mosaico romano policromo, non è chiaro se appartenente ad un edificio pubblico o privato, datato al III secolo dopo Cristo.
Sul lato di settentrione di San Giuseppe ha inizio strada della Chiesa, su cui insistono il Palazzo Di Iorio-Bruno (dal portale rinascimentale) e il Palazzo Cirese (con conci angolari romani di riuso). Scendendo ancora su strada della Chiesa si incontra poi la Casa Di Falco (un tempo edificio monastico) quindi si passa sotto un piccolo arco, detto “La Cavuta”, una piccola uscita ottocentesca dalla città storica.
L’abside della Chiesa di San Giuseppe, interamente dritta, insiste invece su via Portanuova, cosiddetta perché al suo termine in Età moderna (verso la fine del Settecento) era stata eretta una seconda porta per l’uscita dal Borgo. Da qui, sulla destra si può osservare il muraglione di Via Fontana Vecchia, realizzato all’esterno dell’abitato murato per ripianare un terreno sensibilmente scosceso. Oltre la strada Fontana Vecchia si trova la caratteristica omonima Fontana che costituisce lo sbocco di un importante acquedotto romano ipogeo di età imperiale, tuttora integro e funzionante. Salendo lungo il muraglione si raggiunge l’incrocio tra via Fontana e via Savoia, con di fronte un altro muraglione su cui si affacciano due palazzi storici settecenteschi (uno della famiglia Artese) e l’ottocentesco palazzo Ciavatta, appartenenti alla prima fase di espansione dell’abitato fuori le mura che poi avrebbe prodotto l’edificazione del quartiere ottocentesco tra via Savoia e corso Garibaldi, con i caratteristici vicoli di collegamento.
Risalendo a destra via Fontana, si ritorna alla nuova “Porta della Terra”, sul lato ovest, all’incrocio tra corso Garibaldi (l’antico decumano romano, oggi strada commerciale al cui termine si trovano popolosi quartieri residenziali) e Corso Umberto I. Su quest’ultima strada, prima che immetta nella Piazza del Comune (Piazza Giovanni XXIII) s’incontrano i palazzi Sabatini e De Vito e, ai numeri civici 20A e 24, l’edificio che ospita “La Giostra della Memoria”, un interessante museo demoantropologico privato, le cui stanze sono ognuna dedicata a custodire oggetti appartenuti ad una specifica tradizione (transumanza, medicina popolare, magia, ceramiche da mensa, corredo da sposa ecc.).
Oltre la piazza Papa Giovanni XXIII corso Umberto incrocia via Roma, creando lo spazio triangolare del Giardinetto con il monumento ai Caduti e poi scende verso la Fontana Nuova e la chiesetta di San Rocco. Via Roma, strada commerciale della città, in parte pedonalizzata, giunge invece fino alla Villa Comunale consentendo lo struscio, cioè il passeggio di cittadini e turisti.
Tra le altre chiese presenti in città ricordiamo: la Chiesa Vecchia di San Nicola, risalente al XVII secolo (il cui nuovo edificio templare è sorto – nei pressi – negli anni Settanta del ’900, con dedica a San Nicola Vescovo); la chiesa cinquecentesca della Madonna delle Grazie e la già citata chiesa di San Rocco, un tempo tutte fuori le mura, le ultime due sul percorso dell’importante tratturello di collegamento fra il tratturo costiero L’Aquila-Foggia a quello più interno Centurelle-Montesecco.